
di Floriana Vitale
É stata girata a Fasano (BR) la fiction Braccialetti Rossi che domenica 26 Gennaio è stata campione di ascolti (20% di share) in onda su Rai 1. Come protagonisti un gruppo di ragazzi dai caratteri diversi, accomunati da un’unica e grande caratteristica, la malattia. Infatti è proprio l’ospedale il luogo che fa da sfondo alla narrazione. Il gruppo è formato da sei ragazzi alle prese con l’amicizia, le cure e le paure del proprio futuro, che con ironia e dolcezza sono riusciti a portare in tv argomenti di cui di solito non si parla in prima serata. Una storia semplice e speciale che parla di giovani, usa un linguaggio nuovo, divertente, frizzante, ma che parla anche agli adulti, attraverso i genitori dei ragazzi, che si trovano a lottare insieme ai propri figli, affrontando le paure di entrambi, continuando ad andare avanti confrontandosi con il lavoro, i problemi matrimoniali, che non svaniscono di fronte al dolore, bensì si moltiplicano.
Come ha affermato il regista Giacomo Campiotti in un’intervista su tv blog, “il lavoro sul set è stato molto serio ed impegnativo, ma insieme alla troupe abbiamo mantenuto sempre vivo un sentimento di gioco e di leggerezza (il primo regalo ad ognuno di loro è stato un bel naso rosso da clown). La risposta dei ragazzi è stata fantastica: la loro serietà, solidarietà e l’impegno costante sono stati di esempio per tutti noi. A dimostrazione che, quando la domanda è alta, la risposta è alta. Anche dei ragazzi di oggi“. Possiamo affermare che lo scopo di questa fiction è quello di inviare nel suo piccolo un messaggio a tutte le persone che sono affette da malattie: “Io non ho finito”, la malattia non per forza deve mettere fine alla vita, un tema ripreso nella colonna sonora intitolata proprio così, scritta ed interpretata da Niccolò Agliardi .
Ma secondo gli oncologi dell’Istituto Tumori di Milano (come riportato in un articolo del Corriere della Sera) se c’è una scomoda verità da divulgare sul cancro, riguarda proprio gli adolescenti, che nel percorso delle cure si ritrovano in una specie di “limbo”, tra la pediatria e l’oncologia, non avendo spesso la possibilità di accedere ai centri di eccellenza ed a specifici protocolli clinici, con il risultato di avere minori possibilità di guarigione rispetto ai bambini, anche a parità di condizione clinica. Nei giorni successivi alla messa in onda le critiche sono state positive, dall’autorità garante per l’infanzia ai malati oncologici. Unica accusa è che si è puntato sulla lacrima facile, e che ovviamente si racconta la malattia in modo ben lontano dalla sua reale oscurità, lasciando spazio alla favola.
Se pensassimo a tutte le esperienze che un ragazzo sano matura nella sua adolescenza, potremmo solo immaginare il dolore di un adolescente chiuso in ospedale che si crea la propria comitiva in reparto, per il quale le uniche uscite sono da un reparto all’altro per le visite, e che quando vomita non lo fa per la sbronza ma per la chemio. A parlarci di questo è Albert Espinosa, l’autore dell’omonimo libro (uscito anche in Italia) e dell’omonima serie tv spagnola “Polseres Vermelles”, che fa una sua autobiografia raccontando la sua lotta contro un osteosarcoma alla gamba sinistra, tra i 14 e i 24 anni. Ciò che colpisce è come Espinosa parla della sua esperienza, raccontando ciò che il cancro gli ha tolto, e ciò che invece gli ha dato, mettendolo nelle condizioni di imparare a capire se stesso, le persone che lo circondano, ma sopratutto a non aver paura della morte. Insomma in Spagna sono stati entrambi un grande successo, ed ora i diritti sono stati acquistati per gli Stati Uniti, da Steven Spielberg. Noi intanto aspettiamo con ansia la seconda puntata.
Alessandro
31 gennaio 2014 at 03:46
Sara’ bella sta fiction voglio vederla