
di Gabriella De Santis
Sulla bilancia della vita e della morte questa volta 148 studenti del Kenya. Nella scia funesta del terrorismo islamico ci sono in primis la cultura: si pensi al sito archeologico di Hatra raso al suolo, ora una università -per di più cristiana- ed ecco che in secundis arriva l’essere cristiani. L’essere “infedeli”. Infatti, oltre alle città, campi profughi, luoghi di culto distrutti dalla furia omicida dell’isis, uno degli ultimi obiettivi è stata l’università cristiana di Garissa –paese a 150 km dal confine con la Somalia- assediata il 2 Aprile.
Il gruppo islamista al-Shabaab, che si è attribuito la paternità della strage non ha visto solo I 148 studenti come le uniche vittime, vi sono anche altri 79 feriti e si vocifera su alcuni dispersi, anche se circa 500 degli 815 studenti di cui non si avevano notizie, sono stai poi ritrovati. La parte più difficile spetta ai sopravvissuti, quella di testimoniare…ma soprattutto quella di ricordare. Nei loro occhi solo strazio, terrore, morte e tanta incredulità su come il genere umano stia diventando sempre più disumano. Corpi di giovani straziati dai colpi d’arma da fuoco.
Altri decapitati senza pietà in perfetto stile jihadista. Dopo l’irruzione nel plesso universitario di circa 8 persone, che hanno iniziato a sparare all’impazzata, si è scatenato l’inferno: degli ostaggi i musulmani da una parte, i cristiani dall’altra, gli uni potevano vivere, gli altri no. Sterminati. Brutalmente sterminati. Sull’accaduto incombono pesanti accuse, come quella rivolta alla polizia per aver ritardato di sette ore l’intervento nell’edificio assediato dai terroristi, che indisturbatamente procuravano giovani morti. Inoltre uno degli attentatori era il figlio di un funzionario del governo.
Il terrorista e’ stato identificato come Abdirahim Abdullahi, come ha comunicato un portavoce del ministero dell’Interno. ‘Il padre aveva denunciato alle forze di sicurezza che suo figlio era scomparso da casa e stava aiutando la polizia a cercarlo’, ha spiegato. Infine, la rabbia dell’opinione pubblica fa leva sulle scarse misure di sicurezza adottate, nonostante gli avvertimenti dell’intelligence inglese che aveva diffuso un allarme su possibili attacchi terroristici nelle università.
Precauzioni erano state prese solo negli atenei più importanti del paese, con la comunicazione del 25 Marzo del capo della sicurezza dell’università di Nairobi – W.M. Wahome- che avvertiva gli studenti della Kenyatta University, l’University of Nairobi, e l’United States International University, così:“I rapporti di intelligence indicano che il gruppo terroristico Al-Shabaab sta pianificando attacchi di rappresaglia contro importanti istituzioni a Nairobi, comprese principali università” Dall’Italia, in segno di vicinanza, il ministro Getiloni ha incontrato il suo omologo keniota Amina Mohamed e l’arcivescovo di Nairobi John Njue. Ne è emerso un piano di collaborazione e sia per quanto riguarda l’addestramento di 20 unità kenyote come unità antiterroristiche, sia per quanto riguarda la possibilità di mettere a disposizione 25 borse di studio per gli studenti di Garissa in nove università italiane. È al vaglio anche la proposta di ottenimento di un visto dedicato agli studenti stranieri che vorrebbero continuare a studiare in Italia.
Ma l’inquietante silenzio dei media, preoccupa il web che si chiede sui vari social perché alcune morti pesino più di altre, perché per Charlie Hebdo si è parlato per più tempo, si è creato un ashtag come simbolo di vicinanza, perché tutte queste distinzioni!? Di tutta risposta la comunità virtuale ha iniziato a far girare sul web immagini relative all’accaduto, o semplicemente immagini con una candela e la scritta kenya e la più commovente quella del volto di una donna inscritto nella cartina geografica dell’africa che piange i suoi 148 figli…i nostri 148 colleghi universitari, i nostri possibili 148 compagni di banco.
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