
“Un esordio che rimarrà nella storia”. Questo uno dei commenti più forti in calce al libro, dopo altri due rilevanti, quali “enigmatico come Il nome della rosa” e “avvincente come I pilastri della terra”.
E forse sia Eco che Follet dovranno, se non temere, almeno profondere rispetto per l’esordio di Marcello Simoni, con il suo romanzo “Il mercante di libri maledetti” (Newton Compton, euro 9,90).
Un pugnale a forma di croce conficcato su una porta. Una sentenza di morte firmata dalla Saint-Vehme. Una corsa senza respiro nella notte, inseguito da un essere il cui volto è coperto da una terrificante Maschera Rossa. Il terreno che frana di colpo e lui, Vivïen de Narbonne, rotola giù nel burrone, urtando più volte la testa.
Questo l’incipit del libro del giovane bibliotecario di Comacchio, già vincitore del premio “What’s up – Giovani talenti per la cultura” e del premio “Emilio Salgari”.
Un “medieval thriller d’avventura” che vede protagonista Ignazio da Toledo, mercante di reliquie, monaco mozarabo colto ed emotivo, discepolo di Gherardo da Cremona, divulgatore di testi greco-arabi e per questo motivo riconosciuto come negromante, sulle tracce di un segreto (“un segreto per cui vale la pena morire”, direbbe l’albino Sylas nel Codice di Dan Brown), seguito dai suoi due fidi Willalme e Uberto.
La loro missione? Ritrovare l’eredità che Vivïen, in passato grande amico di Ignazio da cui è si è dovuto separare proprio a causa della Saint-Vehme e ora perito nella caduta, per 15 anni ha cercato di fargli pervenire: l’Uter Ventorum, un manoscritto che contiene il metodo per evocare gli angeli e la loro sapienza.
Tracciando – a discapito della critica – una vigorosa linea di demarcazione con Eco, Follet e Brown, Marcello Simoni realizza questo romanzo gotico e avventuroso (primo di una trilogia) mostrando grande attenzione nella descrizione delle atmosfere, dei giochi di luce di crepuscolo e aurora, della nebbia, dei chiaroscuri tipicamente medievali. Sapiente è l’abilità di alternare il chiarore degli ambienti aperti e la semioscurità di quelli chiusi nei quali i tre protagonisti, ognuno caratterizzato da un proprio stile ben assegnato, interagiscono.
Ma Ignazio, Willalme e Uberto non sono i soli ad essere sulle tracce dell’Uter Ventorum: vi è anche un tribunale, quello appunto della Saint-Vehme, con i suoi Franchi-Giudici, che li ghermisce da vicino, sapendo ben leggere gli indizi che Vivïen ha disseminato partendo dalla propria tomba; senza contare che questi, per sicurezza, ha smembrato il libro in quattro parti, contando sul fatto che solo Ignazio sarebbe stato capace di rimetterle insieme in modo corretto. Più volte il mercante e la sua combriccola sono costretti a uno scontro frontale e fisico con gli sgherri di Dominus (il capo del tribunale che mira a diventare Gran Maestro), ma riescono sempre a uscirne, se non vittoriosi, almeno vivi. Combattimenti a colpi di spade e pugnali, colpi bassi, inseguimenti a cavallo: questi alcuni dei tratti epici di questo thriller, ben ricondotti poi alla figura di Ignazio (quanti se lo sono immaginato – erroneamente – come lo Sean Connery de “Il nome della rosa”?) che, come tutti gli uomini di cultura, rinuncia a tutto, esponendosi a grossi rischi, per cercare il misterioso libro (pseudobiblion?) e, di conseguenza, la Verità. Esperto di libri antichi e reliquie, per lui è un punto d’onore accettare la missione, non fosse altro che per rendere giustizia al suo amico morto per mantenere il segreto.
Seguendo i suoi indizi, muovendosi tra Italia (Venezia – dove viene ingaggiato da un ricco nobile – e la Sacra di San Michele in Val di Susa), Francia (Linguadoca) e Spagna (Santiago de Compostela), tra sentieri polverosi, corse a cavallo, colpi di spade e numerose gole tagliate, riesce a mettere insieme le quattro sezioni dell’Uter, in un finale rocambolesco e ricco di colpi di scena in cui finalmente, dopo una corsa mozzafiato, si riprende a respirare.
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