di Giovanni Sgobba
Ha vinto Mahmoud Sarsak. Dopo tre anni di ingiusta ed ignobile prigionia, il 25enne calciatore palestinese è stato finalmente liberato e rilasciato dalle forze carcerarie di Israele nei pressi di Gaza, dove è stato immediatamente trasferito in un ospedale per ricevere le prime cure e per riabbracciare i suoi cari.
La notizia era trapelata qualche settimana fa, da quando, infatti, Israele aveva deciso di scarcerarlo al termine dell’ultimo ordine di detenzione amministrativa (che si rinnova ogni 6 mesi), regolarmente conclusasi appunto nella giornata del 10 luglio.
Ripercorrendo a ritroso questi 3 anni di detenzione è facile intuire l’assurdità contro la quale ha lottato il 25enne palestinese che si stava lentamente spegnendo a causa di uno sciopero della fame durato quasi 100 giorni come evidente segno di protesta dell’ingiustizia che stava subendo. Questo gesto, simbolo di una lotta estrema per riprendersi la sua vita e la sua dignità, ha squarciato il velo di silenzio che aleggiava attorno alla sua storia, e da quel giorno, il 19 marzo, numerosi sono stati gli appelli lanciati dal mondo del calcio e della politica, da Eric Cantona, da Kanoutè, da alcuni calciatori spagnoli, da Noam Chomsky, giornalista di origine ebraica e dai presidenti delle varie associazioni.
Sepp Blatter, infatti, numero 1 della FIFA, aveva così dichiarato: “Nei rapporti ricevuti dalla Fifa si evidenzia il fatto che diversi calciatori palestinesi siano detenuti in violazione dei diritti umani e della loro integrità, senza processo ed in maniera illegale, dalle autorità israeliane… La Fifa lancia un appello urgente all’Ifa (Israel Football Association) per attirare l’attenzione delle autorità israeliane competenti, con l’obiettivo di garantire l’integrità fisica dei calciatori interessati, nonché il loro diritto ad un giusto processo”.
Il 14 giugno era stata invece l’Associazione sportiva Palestinese ad inviare una lettera al presidente della UEFA, Michel Platini, chiedendo di “non riconoscere ad Israele l’onore di ospitare i prossimi Europei under 21, nel 2013″.
Perché si parla di ingiustizia? Mahmoud ha in realtà subito più di un torto, da quando il 22 luglio 2009, è iniziato il suo incubo.
Mentre si dirigeva in Cisgiordania per una partita di calcio, è stato fermato al check-point del tratto di Erez dalle forze israeliane e dopo esser stato interrogato ed umiliato ha ricevuto l’ordine di detenzione amministrativa. In cosa consiste? Si tratta di uno stato di carcerazione per il quale non è previsto un processo e non sono nemmeno rivelati i capi di accusa o presunti tali. Quindi, nemmeno il carcerato viene messo a conoscenza dei capi d’accusa a suo carico e tale provvedimento può essere reiterato a volontà. Ecco perché il 19 marzo, all’ennesimo rinnovo della detenzione, il calciatore ha iniziato questo sciopero protrattosi oltre il 14 maggio, giorno in cui gli altri prigionieri palestinesi, che come lui stavano già protestando rifiutandosi di mangiare, avevano cessato il suddetto sciopero.
Tre anni di carcere per il solo e semplice sospetto di essere un “combattente illegale” avrebbero potuto spegnere l’animo di Sarsak, sempre più ridotto in condizioni disumane. Alla fine, quando l’allarme di una imminente morte del calciatore si stava facendo assordante, è arrivata la notizia della sua liberazione. Le prime immagini lo ritraggono mentre stringe un pallone con attorno la folla in festa: in fondo per Mahmoud afferrare un pallone significa aver ripreso in mano la propria vita.
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