di Candido Marinelli
“Ora però lasciatemi andare a letto. Ho sonno. Lasciatemi dormire.”
Le luci dell’alba già schiarivano una notte troppo lunga. L’interrogatorio era iniziato nel pomeriggio di sabato 25 maggio. Di fronte ai carabinieri e al pm della procura di Rossano, Maria Vallefuoco, dopo tante bugie e ricostruzioni fantasiose, Davide, 17 anni, confessa di essere l’assassino di Fabiana Luzzi, la sua fidanzatina di 15 anni.
Uno scenario drammaticamente monotono, un uomo che uccide la sua compagna e cerca di farla franca davanti alla legge disfacendosi del corpo. Qualcuno si suicida. Altri preferiscono chiudere gli occhi, combattere contro gli incubi, confidano nel sistema giudiziario italiano: la storia insegna che con un po’ di fortuna e l’avvocato giusto, saranno fuori in pochi anni.
La divulgazione, sia a mezzo stampa che televisiva, vi ha già messo a conoscenza di particolari scabrosi e macabri sulla vicenda, mascherati da libertà di stampa. La spettacolarizzazione della cronaca è un fatto di audience e voyeurismo. Milioni di occhi spalancati a seguire l’informazione come se fosse una fiction.
Scusaci Fabiana, siamo tutti colpevoli.
Spesso sento parlare di femminicidio con leggerezza, si usano parole come “delitto passionale” o “raptus di gelosia”. Da qualche salotto patinato televisivo, ho sentito anche appelli a parlarne meno per non cadere nel rischio emulativo. Come se fosse una moda…
Shhh! Domani forse torneranno di moda le giacche con le spalline, oggi si uccidono le donne.
Spalanchiamo gli occhi. Il problema è culturale.
Occhi aperti. La figura della donna nelle pubblicità e in televisione è corpo esibito come decorazione, privo d’identità o personalità. Un figura sensuale, avvenente ma inoffensiva. Una presenza che diventa oggetto. Oggetto che appartiene a qualcuno. Si ribella? Verrà punita.
Pensiero che infetta, che ha impregnato una generazione senza degni educatori e continua a far compagnia ai bambini di oggi. Basta prendere il telecomando.
Tra qualche giorno ci dimenticheremo di Fabiana. Dimenticheremo le sue foto, la sua giovane storia fatta di sogni infranti , le interviste ai suoi cari che esigono giustizia. Chi prenderà il suo posto in prima pagina? Vuoi essere tu? O magari tua figlia che non hai protetto, a cui non hai insegnato che uno schiaffo non è mai un gesto d’amore. La sorella che non hai accompagnato a denunciare, anche contro la sua volontà. L’amica che nega l’evidenza, che inventa scuse per difendere il suo carnefice. Anche il volto del prossimo mostro ti è noto. Se ti fermi un po’ a pensarci, assomiglia così tanto a tuo figlio, ha gli stessi occhi del tuo amico, lo stesso naso, sai benissimo il suo nome, ci giochi tutte le settimane a calcetto. O forse sei proprio tu che stai leggendo quest’articolo e senti la rabbia che sale. I mostri solo nelle fiabe vengono da posti oscuri e sconosciuti. Apriamo gli occhi , troppo tempo abbiamo taciuto.
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