
di Teresa Manuzzi
Quando all’interno del Cinema Galleria di Bari hanno cominciato a disvelarsi le immagini dei documentari del Bif&st sulla questione Ilva, “Maldimare” e “Buongiorno Taranto“, i tarantini che avevano partecipato alla marcia erano tornati a casa da qualche ora. Chi ha preso parte all’evento partendo dalle altre città d’Italia era sulla strada del ritorno. Il 6 aprile infatti circa 7500 persone sono accorse da tutta la penisola per camminare insieme contro l’inquinamento. La marcia del 6 aprile contro gli inquinatori della nostra penisola è stata un successo di partecipazione ed entusiasmo, nonostante la pioggia. Il senso del raduno era camminare insieme, passeggiare sulle macerie per poter immaginare un altro territorio, un altro tipo di occupazione, un’altra Taranto. Si è partiti dalla bio piazza di Statte, si è passati vicino alla discarica di rifiuti speciali Italcave e si è infine giunti alle “pendici” del camino dell’Ilva chiamato E-312. Il corteo si è fatto strada praticamente su quella che viene definita l’area in assoluto più contaminata dalla diossina.
A Massafra i bovini con la diossina
Proprio in questi giorni è stato battuto dalle agenzie un nuovo allarme contaminazione: questa volta a pagare il fio è stata Massafra, città che dista ben 15 km da Taranto. L’Istituto Zooprofilattico di Teramo ha infatti analizzato dei campioni provenienti dagli allevamenti bovini di Massafra ed ha scoperto che questi erano contaminati da diossina. Una contaminazione definita “transgenerazionale“. Le mucche contaminate hanno a loro volta trasferito la propria diossina ai vitelli attraverso l’allattamento. Ha così preso vita una macabra “catena di contaminazione a ciclo continuo“. Sembrerebbe quindi che non bastano i chilometri a difendere un territorio dalla contaminazione della diossina che sta piano piano intaccando tutti i settori economici che ruotano attorno alla specificità del territorio: allevamento di ovini, bovini e ovipari, prodotti caseari, mitilicoltura, agricoltura e zone balneari.
La sfida della “masseria Carmine”
Taranto però non si arrende e oltre alla marcia, che testimonia la voglia di riscatto, ecco una bella storia proveniente dalla famosa “masseria Carmine“, la masseria che ha dovuto abbattere tutte le sue pecore perché contaminate da diossina. Proprio su quei terreni si è dato il via alla coltivazione della canapa. Vincenzo Fornaro ha deciso di ricominciare e lo ha fatto dalla canapa perché “assorbe gli inquinanti e la CO2“. Il terreno è stato analizzato, verranno realizzate altre analisi per capire in che parte della pianta si saranno andati a depositare gli inquinanti. Sulla base della localizzazione degli inquinanti sarà poi possibile pensare alla destinazione d’uso da dare alla pianta. Si tratta di una scommessa, una scommessa che è una sfida e che renderebbe evidente come il destino di questo pezzo di Puglia non è segnato dai poteri forti, ma pronto a rinascere dalle sue ceneri come un’araba fenice (La prima foto presente nell’articolo è di Luciano Manna) .
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