
di Daniela Marrocco
Giorgio GABER scriveva e cantava: L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme, non è il conforto di un normale voler bene, l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. l’appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è il consenso a un’apparente aggregazione, l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
Di per sé basterebbe Gaber a spiegare come mai una squadra di calcio senza proprietà, con una storia di colore e amore ed insieme contestazione (condensando insieme più di 100 ANNI di storia) rischia il baratro del nulla all’incanto il prossimo 20 maggio, ma vola verso il sogno di una promozione insperata fino a qualche settimana prima.
Questa è la storia della BARI (si la BARI come la chiamano i tifosi, e non il BARI),che vista l’istanza fallimentare della proprietà Matarrese (contestata e autentica malattia del rapporto con i tifosi) oggi si ritrova a vivere un’euforia ed un amore da parte della sua città bianco rossa che nemmeno ai tempi dell’ultima promozione.
Va bene, in questo aiutano i social e l’idea di Daniele Sciaudone – professione calciatore – che ha galvanizzato la sua squadra con i selfie e gli appelli forniti di hashtag.
Ma in uno sport dove – si dice – conta il business, i soldi, il risultato, ce lo chiediamo: come fanno 22 ragazzi che non percepiscono stipendio, che non hanno proprietà a vincere (nelle ultime8 partite 7 vittorie)?
Nell’esperienza di mental coach e sport coaching, definirei questo un’autentica smentita dei valori dello SHOWBIZ e una rivalsa non accidentale della CULTURA DELLO SPORT e – siamo onesti – un buon uso dei social media.
Parafrasando ancora Gaber, è questione di appartenenza:
E’ quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa che in sé travolge ogni egoismo personale con quell’aria più vitale che è davvero contagiosa.
E’ quella maglia a colori bianco rossi che si è cucita sulla pelle. Che non ha padroni ancora, che cerca una identità ma che nel frattempo, vive nell’adozione e adorazione del suo pubblico ritrovato.
L’appartenenza è un BISOGNO, una esigenza che il denaro non è in grado di comprare.
Si esprime nel NOI, nel CORO, che permette di riconoscersi e di essere riconosciuti come membri di un gruppo. La consapevolezza di se stessi, della propria storia e cultura, crea le condizioni per accedere ad un altro livello e cioè, la capacità di riconoscere “l’altro”e quindi, la possibilità di confrontarsi ed aprirsi al diverso.
Insomma, tra hashtag e appelli la BARI sta facendo molto di più.
Aggrega, unisce, a dispettodel business. Un crowdfunding dal sapore autentico e senza secondi fini attivato da tifosi certi, conosciuti, sconosciuti che diventano parte del tutto, della BARI, dello SPORT grazie a loro: quelli che ci credono, che sono in campo, che giocano, che creano il SOGNO.
Il sogno di una città e di una squadra che aveva spento colori e passione in uno stato di perenne contestazione contro la proprietà.
Un sogno che fa rima con la pulizia dagli scandali e dal passato di scommesse e partite vendute, per ritrovare quel calore tutto bianco rosso che la città con i suoi 60.000 posti a sedere in uno degli STADI storici firmati dall’architetto Renzo Piano (ndr San Nicola) sapeva di potere offrire.
#labari oggi è uno SPOT di cultura dello sport, di motivazione da parte di tifosi e giocatori che crea I presupposti per un investimento vero, auspicando che gli appelli di #compratelabari siano accolti, in ultima seduta di incanto il prossimo 20 maggio 2014.
Per ora, LABARI ha già fatto il MIRACOLO.
Unire, creare appartenenza, smentire (anche se in parte) la mercenarietà di una professione (quella del calciatore) che batte di fisico, cuore, sudore, risultati e pressione.
Il gioco è una cosa seria. Lo sport è una questione di vita. Le PERSONE fanno la differenza. La maglia diventa il simbolo di un’identità che esprime valori e potenziale.
Ebbene si…anche economico. E se fossi un imprenditore in grado di fare l’offerta direi: #comproiolabari ora!
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