
di Mariangela Lomastro
31 dicembre 2014, stazione dei treni di Bari, nevica. Tre elementi che insieme significano una cosa sola: ritardi paurosi nelle partenze. Ma i contrattempi, a volte, diventano motivo di incontro e confronto. E’ così che per ingannare l’attesa, una chiacchierata con un ragazzo nello stesso treno, diventa l’occasione per scoprire quella che potrebbe essere la soluzione per risolvere la carenza di cibo mondiale.
Paolo, bolognese di origine, di ritorno da una vacanza in Albania, prosegue per la sua nuova casa vicino Santa Maria di Leuca dove ha deciso di trasferirsi sei anni fa. Lì ha in animo di acquistare dei terreni per mettere in pratica gli insegnamenti che il filosofo e botanico giapponese, Fukuoka Masanobu, spiega nel suo libro “La rivoluzione del filo di paglia”. Questo è lo spunto che innesca la curiosità necessaria per cercare subito notizie a riguardo appena arrivata a destinazione.
Da Wikipedia apprendo che Fukuoka Masanobu, nato nel 1913 e morto nel 2008, è stato un pioniere dell’agricoltura del “non fare”. Dal punto di vista filosofico, il metodo di Fukuoka si ispira al concetto del Mu, nucleo dell’insegnamento del Buddhismo Zen, che si può tradurre con “senza” o anche “nessuno”. Quindi l’agricoltura del Mu consiste nel non fare niente. Poiché in natura ogni cosa avviene spontaneamente, si ritiene che il modo migliore di agire sia non agire, lasciando che ogni cosa avvenga spontaneamente.
La curiosità e il senso pratico mi portano però a chiedere a Paolo in sostanza “come” dovrebbe coltivarlo il suo futuro appezzamento di terreno. E’ in quel momento che i suoi occhi si illuminano e comincia a spiegarmi appassionatamente la tecnica nel suo dettaglio.
Non c’è bisogno di arare il terreno perché la germinazione avviene direttamente in superficie, dopo aver mescolato i semi con argilla, che crea un involucro permeabile che protegge i semi da insetti e topi. Nel terreno intatto, dove idealmente sono state fatte crescere piante poco invadenti che fissano l’azoto, che trattengono il terreno e impediscono lo sviluppo di infestanti, viene coltivata simultaneamente la coltivazione voluta. Non arando la terra si consente anche agli animali che popolano il substrato del terreno di collaborare per combattere infestazioni. L’agricoltore poi raccoglie esclusivamente i frutti necessari, lasciando sul campo tutti gli scarti e le rimanenze della coltivazione, che concimeranno il terreno, così come la parte aerea delle piante.
Paolo mi spiega che questo metodo di coltivazione si può realizzare in piccola scala, è adatto a piccoli possedimenti e non richiede il ricorso al lavoro intenso ma soprattutto non si avvale dell’aiuto della chimica, ottenendo però rese per ettaro molto simili.
Il metodo Fukuoka, dunque, libera l’uomo dalla schiavitù del lavoro e permette di coltivare cibi genuini. Per il filosofo giapponese, infatti, lo scopo vero dell’agricoltura non è far crescere i raccolti, ma la coltivazione e il perfezionamento degli esseri umani: una via di ricerca interiore. Ed ecco che il ritardo di un treno diventa l’occasione per approfondire un tema sconosciuto ai non addetti ai lavori, che racchiude in sé un messaggio positivo: vivere senza sfruttare la natura. Spero che il sogno di Paolo, bolognese trasferito al sud, possa presto realizzarsi.
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