La Donna di Ostuni, l’eterna madre più antica del mondo
La Città Bianca custodisce presso il Museo di Civiltà Preclassiche i resti di una scoperta sensazionale, avvenuta solo nel 1991 e che risale a circa 28.000 anni fa. Sto parlando della Donna di Ostuni, giovane gestante che ha perso la vita ad appena 20 anni, probabilmente mentre stava per mettere al mondo il bambino che portava in grembo.
“Quella mano che sembra proteggere una creatura mai nata, oltre al culto per i morti, denota tra gli uomini di Cro Magnon un altissimo senso di pietà”, con queste parole, estrapolate dall’archivio del quotidiano La Repubblica, il professore Donato Coppola, paleoetnologo scopritore della sepoltura, sottolineò il sentimento di profonda solidarietà che teneva legati i membri di una tribù. Anche la Donna di Ostuni apparteneva a un clan composto dagli uomini di Cro Magnon, molto simili nell’aspetto alle popolazioni umane dei nostri giorni.
Nel corso del Paleolitico superiore molte tribù formate da cacciatori e allevatori di bestiame si insediavano con i loro villaggi intorno all’attuale città di Ostuni ed erano solite seppellire i defunti all’interno di Santa Maria d’Agnano, grotta dall’immensa ricchezza archeologica, situata a pochi chilometri dalla Città Bianca. Fu proprio qui che nel 1991, dopo anni di ricerche, il prof. Donato Coppola portò a termine una scoperta di eccezionale importanza: il ritrovamento dello scheletro della gestante con il feto ancora intatto.
Infatti il perfetto stato di conservazione in cui sono giunti
i resti dei due consanguinei lascia davvero senza parole. Lo scheletro della giovane donna, con i resti del suo feto in grembo, si trovava nella parte superiore di un cunicolo che il professor Coppola raggiunse attraverso una piccola apertura. Inizialmente “Ostuni 1”, nome scientifico dato alla scoperta, aveva un aspetto poco chiaro. Ma dopo giorni di lavoro e anche grazie alla collaborazione di altri volontari, Donato Coppola capì che aveva dinanzi ai suoi occhi una delle più grandi scoperte dal punto di vista scientifico. Di fatto egli stesso affermò: “Sebbene le sepolture paleolitiche siano piuttosto rare in Italia, l’enorme valore scientifico del ritrovamento è essenzialmente dovuto alla presenza del feto: finora unico al mondo per il periodo Pleistocenico; è la prima volta che ci troviamo di fronte a una famiglia così antica”.
Una volta rimosso il pavimento che copriva i resti ossei, si proseguì con l’asportazione degli scheletri. Quello della Donna di Ostuni fu trovato in una posizione tipicamente materna: la sua mano destra, infatti, era stata appoggiata sul grembo. Intorno al polso aveva un bracciale e vicino a lei
semplici conchiglie come ornamento funebre. Si trattava di oggetti utilizzati quotidianamente e per tale ragione assumevano notevole importanza proprio in occasione di situazioni di particolare coinvolgimento emotivo. Un’ulteriore testimonianza della grande solidarietà che esisteva fra i membri della stessa tribù.
Dagli studi compiuti è emerso che la giovane gestante apparteneva alla specie dell’Homo sapiens sapiens e portava il bambino in grembo da ben oltre otto mesi.
Per tutti questi anni il lavoro del professor Donato Coppola è stato costante e instancabile, al punto tale che la composizione dei due scheletri originali è terminata solo a maggio scorso. Attualmente l’interessante reperto è visitabile nella sala paleolitica del Museo di Civiltà Preclassiche della Murgia Meridionale di Ostuni, all’interno della quale vi è anche una realistica ricostruzione della grotta santuario in cui è avvenuto il ritrovamento.
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