
Raqia Hassan attivista e giornalista siriana, aveva raccontato le atrocità che i militanti dello Stato islamico compivano a Raqqa, in Siria. Per questo motivo la donna trentenne, accusata di spionaggio, è stata uccisa da alcuni miliziani jihadisti vicini al Califfato. La sua morte, avvenuta ormai qualche mese fa, è stata confermata il 6 gennaio 2016 da gruppi di attivisti nel Paese mediorientale. Erano settimane che le tracce della giovane donna si erano perse.
“Avanti tagliateci internet, i nostri piccioni viaggiatori non se ne lamenteranno”, aveva scritto lo scorso 21 luglio, ironizzando sulla guerra al wi-fi dichiarata dal Califfato nella sua città. E ancora, “Sono a Raqqa e ho ricevuto minacce di morte, ma quando l’Isis mi arresterà e ucciderà sarà tutto ok, perché mi taglieranno la testa e io manterrò la mia dignità”. Parole dure, che hanno fatto indispettire i leader di Daesh che l’avevano resa prigioniera e che non le hanno risparmiato la vita. La sua famiglia è stata informata della morte della giornalista solo tre giorni fa. Raqia Hassan aveva studiato all’università di Aleppo, ma quando i terroristi islamici si era impadroniti della sua città natale non aveva voluto abbandonare i suoi cari. Da allora, aveva continuato a scrivere, denunciando, soprattutto sui social network dove utilizzava lo pseudonimo di Nissan Ibrahim, le condizioni dei civili a Raqqa, torturati e violentati dai jihadisti, ma anche raccontando i continui bombardamenti della coalizione internazionale.
Giornalista: coraggio e verità
Moltissimi citizen journalists sono caduti a decine dal 2011 ad oggi. Nel 2015 il Syrian Network for Human Rights ne ha contati 94, e addita come responsabili soprattutto l’Isis e il regime di Assad (il primo annuncia pubblicamente i suoi crimini, il secondo li nasconde), ma anche altri gruppi ribelli. Il gruppo lamenta anche alcuni casi in cui i curdi hanno arrestato dei giornalisti. A nessuno piacciono le voci indipendenti.
Il mestiere del giornalista: pericoli e sfide
Ogni anno a febbraio Reporter sans frontières stila la classifica della libertà di stampa a livello mondiale. Il rapporto 2015 fotografava una realtà angosciante: minacce, aggressioni fisiche, incriminazioni a vario titolo avevano reso la vita particolarmente difficile ai giornalisti. Come sempre la situazione appariva particolarmente virtuosa nei Paesi del nord Europa mentre continuava a peggiorare in Russia e in Cina. L’Italia non è in una posizione di cui vantarsi: 73° posto in classifica, vicino al Nicaragua. Attendiamo dunque di vedere tra circa un mese se e come la situazione del nostro Paese è cambiata. In un mondo di comunicazione multimediale sarà sempre più difficile per gli utenti costruirsi una propria opinione critica sui fatti e sarà sempre più difficile per i giornalisti costruirsi un ruolo credibile in grado di stare al passo con i tempi. In un contesto globalizzato dove la qualità del giornalismo cala, la pluralità delle fonti rischia di disorientare il cittadino medio verso fonti errate e semplicistiche, talvolta complottistiche, anziché aumentare la sua consapevolezza. La sfida del giornalismo del futuro non sarà dunque solo la libertà di stampa ma anche e soprattutto la capacità di incidere sulle coscienze dei lettori,non solo quelli fidelizzati.si
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