Perchè si parla sempre e solo di terrorismo islamico?
Gli attentati di Parigi del 13 novembre, i bombardamenti contro lo Stato Islamico in Siraq, i blitz condotti dalle forze speciali in diverse regioni della Francia e del Belgio sono tutti accomunati da un unico obiettivo: sradicare e neutralizzare il fondamentalismo islamico. A molti verrebbe da chiedersi: come mai quando sentiamo parlare di terrorismo, questo è ormai sempre collegato ad una matrice islamica e non, per esempio, ad una cristiano-cattolica o buddista? Verrebbe da chiedersi, come è lecito, se sia l’Islam per propria natura una religione “aggressiva e violenta” che scivola facilmente nel fondamentalismo e nel terrorismo. Sono in molti a dare questa risposta affrettata e superficiale, magari basandosi semplicemente su reazioni istintive agli eventi. E sbagliano.
Innanzitutto quando si parla di terrorismo, si apre un argomento vastissimo, in cui al terrorismo religioso si affiancano altri tipi di terrorismo (politico, culturale, ecc.). Ultimamente però, complici gli eventi, complici anche i mass media che tendono ad
enfatizzare sensazionalisticamente alcuni avvenimenti a scapito di altri, si sente parlare solo di terrorismo islamico. Esistono e sono esistiti però altri tipi di terrorismo religioso. Prendiamo il gruppo nazionalista Ketsumeidan (Lega del sangue), giapponese e buddista. Fondato negli anni 30, fu responsabile dell’uccisione di diversi politici e uomini d’affari. Che dire poi del Ku Klux Klan, che si prefiggeva di “ristabilire i valori cristiani protestanti in America con ogni mezzo possibile”?
La verità è che ogni religione ha la sua componente violenta, che viene strumentalmente sfruttata a fini di lotta politico-sociale. E non è vero che l’Islam è naturalmente aggressivo nei confronti delle altre religioni e dei credenti.
I dati lo confermano. Nel 2003 il Times rilevava come nei conflitti interreligiosi indiani i tre quarti delle vittime erano musulamani. Così come musulmana è stata la maggior parte delle vittime di attentati terroristici nel 2015, in particolare in Yemen, dove si sta consumando una sanguinosa guerra civile alimentata dall’Arabia Saudita. Che dire allora di quei presunti versetti del Corano che inneggiano alla guerra e alla violenza contro gli apostati e gli infedeli?
Ci sono diverse risposte a questa domanda. Innanzitutto, l’Islam a differenza del Cristianesimo non è dotato di una struttura fortemente gerarchica come quella della chiesa e soprattutto non possiede un’autorità universalmente rico
nosciuta come il papa. Il mondo islamico è notevolmente più diviso e caotico rispetto a quello cristiano. Per questo, nonostante la presenza di figure religiose musulmane importanti, esistono molte interpretazioni del Corano, alcune delle quali “violente”. Tanto per fare un esempio: alla sura 4:34, che tratta il tema della punizione della donna disubbidiente, compare il verbo daraba, che può essere tradotto con 10 significati diversi (picchiare, ma anche ignorare, lasciare, condannare, viaggiare ecc.).
Occorre dunque allontanare ogni forma di manipolazione e strumentalizzazione politica, in cui facilmente si scivola sull’equazione terrorista=musulmano=migrante. Oggi molti politici giocano e speculano su quest’aspetto, magari in cerca di un seggio in parlamento o di qualcosa di più importante (vedi Trump in corsa per la candidatura alle presidenziali USA).
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